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Gli enti religiosi con il ramo ente del terzo settore

Il Ministero del Lavoro, con la nota n. 10376 del 20 settembre scorso, è intervenuto per chiarire alcuni dubbi rispetto agli enti religiosi civilmente riconosciuti che avevano aperto il proprio ramo ETS.

Come è noto, il Codice del terzo settore prevede che gli enti religiosi civilmente riconosciuti possono iscrivere nel registro nazionale del terzo settore (RUNTS) un proprio ramo disciplinato da apposito regolamento che deve essere depositato al Registro.

Viene chiesto se sia possibile attribuire al ramo ETS una denominazione diversa da quella dell’ente religioso stesso e la risposta è negativa: la denominazione del ramo deve essere quella dell’ente religioso per l’unicità della soggettività giuridica e la necessità che sia correttamente abbinato al codice fiscale anche nell’attività di ricerca sul registro nazionale del terzo settore, una diversa soluzione contrasterebbe con la necessità di univocità delle informazioni rese a terzi e la piena trasparenza degli assetti degli enti assoggettati alle regole in materia di Terzo settore.

Peraltro, nei modelli di regolamento predisposti a cura della CEI, Conferenza episcopale italiana, Ufficio nazionale per i problemi giuridici e pubblicati sul proprio sito:

https://giuridico.chiesacattolica.it/modelli-di-regolamento-per-la-costituzione-di-un-ramo-ente-del-terzo-settore-o-impresa-sociale-da-parte-di-un-ente-ecclesiastico/

nell’articolo 1 si richiede l’inserimento della denominazione dell’ente ecclesiastico.

Sul tema di era espresso anche il Tar Campania con la sentenza n. 3158/2023, ha evidenziato come la disposizione di cui all’art. 4 comma 3 del Codice volta a consentire agli enti religiosi, alle previste condizioni, l’ingresso nel Terzo settore, si fonda sul fatto che il “ramo d’ente ecclesiastico...privo di soggettività giuridica propria, per effetto dello stretto collegamento ad un ente religioso – che deve essere ‘civilmente riconosciuto’ gode per proprietà transitiva della personalità di quest’ultimo”; ciò significa che “è comunque individuabile un soggetto giuridico certo, ossia l’ente ecclesiastico”.

Ebbene, è proprio tale situazione di certezza circa il soggetto giuridico che opera per lo svolgimento delle attività e utilizzando il patrimonio individuati dal regolamento, che si ritiene debba trovare la massima tutela in favore dei terzi.

Arsea Comunica n. 130 del 2/10/2023

 

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