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ETS: il tema, controverso, dei compensi e delle indennità di carica.

È possibile riconoscere indennità di carica all’interno di un ente del terzo settore? Quali sono i vincoli dettati dalla normativa? Ed è possibile retribuire il lavoro dei soci? Se sì con quali limiti? E se il collaboratore fosse un componente dell’organo amministrativo quali limitazioni sono previste dal legislatore? Quali le indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro?

 

L’indennità di carica

Il legislatore ha espressamente vietato la remunerazione delle cariche sociali in capo alle organizzazioni di volontariato, fatta eccezione per i componenti dell’organo di controllo.

Ne consegue che nelle altre organizzazioni senza scopo di lucro è possibile che:

1) lo statuto preveda tale divieto,

2) lo statuto non preveda tale divieto e l’organizzazione deliberi il riconoscimento di indennità di carica.

In merito alla quantificazione dell’indennità di carica dobbiamo prendere in considerazione due indicazioni normative.

La prima è stata introdotta con riferimento alle ONLUS ed applicata in via interpretativa anche alle altre organizzazioni senza scopo di lucro come le associazioni sportive dilettantistiche. Viene definita dall’articolo 10 del Decreto Legislativo 460/1997 ai sensi del quale si configura una distribuzione indiretta di utili, ed è pertanto vietata, “la corresponsione ai componenti gli organi amministrativi e di controllo di emolumenti individuali annui superiori al compenso massimo previsto dal DPR 10 ottobre 1994, n. 645, e dal decreto-legge 21 giugno 1995, n. 239, convertito dalla legge 3 agosto 1995, n. 336, e successive modificazioni e integrazioni, per il presidente del collegio sindacale delle società per azioni”. Orientativamente si parla di 40.000 euro all’anno e si tratta di un vincolo ancora operativo per le ONLUS e, si ritiene fino a diversa indicazione di prassi, per le organizzazioni che non si qualificano come Enti del terzo settore.

La seconda è stata invece introdotta dal Codice del terzo settore (articolo 8 del DLgs 117/2017) ai sensi del quale si configura come distribuzione indiretta di utili “la corresponsione ad amministratori, sindaci e a chiunque rivesta cariche sociali di compensi individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni”. Tale vincolo si applica già alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato in trasmigrazione e a tutti gli altri soggetti che vengono ora iscritti nel registro unico nazionale del terzo settore.

Qui la valutazione appare più ardua, essendo necessario andare a specificare le deleghe attribuite al componente dell’organo per far emergere le competenze necessarie ad espletare le funzioni, le responsabilità che ne conseguono e quindi a motivare l’entità dell’emolumento riconosciuto. Accanto a tale valutazione, il legislatore richiede che sia data anche evidenza della circostanza che l’importo non sia comunque superiore a quello previsto in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni e per poter effettuare tale valutazione sarebbe opportuno condividere, come enti del terzo settore, delle linee guida nella quantificazione delle indennità di carica.

Si ricorda che l’indennità di carica non costituisce rapporto di lavoro ma genera un reddito assimilato a quello da lavoro dipendente – con conseguente emissione di busta paga e calcolo delle ritenute fiscali – ed è emolumento soggetto alla contribuzione previdenziale della Gestione separata INPS. Per la quantificazione dell’onere previdenziale nel 2022 si rinvia ad Arsea Comunica n. 24 del 14/02/2022.

 

L’affidamento di incarichi retribuiti ai soci

Il Ministero del Lavoro (nota 18244 del 30/11/2021) ha affermato l’impossibilità per le organizzazioni di volontariato di retribuire i propri soci (sul tema si rinvia ad Arsea comunica n. 129 del 2/12/2021) ancorché non espressamente vietato dal Codice del terzo settore.

Per le altre tipologie di enti senza scopo di lucro non sono previste né indicazioni normative né di prassi ma sarà necessario rispettare i vincoli previsti dal Codice.

In particolare, l’associazione di promozione sociale dovrà dimostrare che:

1) l’attività sia svolta prevalentemente con l’apporto gratuito dei soci;

2) il ricorso a risorse umane retribuite sia necessario ai fini dello svolgimento dell’attività di interesse generale e al perseguimento delle finalità promosse;

3) il numero dei lavoratori impiegati nell’attività (da intendersi esclusivamente i dipendenti ed i collaboratori coordinati e continuativi con INAIL, come chiarito dal Ministero con la Nota n. 18244 del 30/11/2021) non sia alternativamente superiore al:

a) 50% del numero dei volontari (da calcolarsi “per testa”, come chiarito dal Ministero con la Nota n. 18244 del 30/11/2021) o

b) 5% del numero degli associati;

oltre a dover dimostrare, come tutti gli altri enti del terzo settore, che:

4) la retribuzione non si configuri come forma di distribuzione indiretta di utili o proventi per cui il compenso non è superiore (ex art. 8 CTS) “del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale di cui all'articolo 5, comma 1, lettere b) (interventi e prestazioni sanitarie), g) (formazione universitaria e post-universitaria) o h) (ricerca scientifica di particolare interesse sociale)”;

5) i lavoratori accedano ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81;

6) la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti non sia superiore al rapporto uno a otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda.

 

L’affidamento di incarichi retribuiti ai componenti l’organo amministrativo

Sul punto il Codice del terzo settore nulla dice. Si è sempre consigliato in ogni caso di sottoporre l’affidamento dell’incarico a delibera assembleare per dimostrare l’assenza di auto-retribuzione e l’osservanza del principio di sovranità assembleare.

Il Ministero del Lavoro ha espresso però dei dubbi in merito a tale possibilità.

Nella Nota n. 6214 del 9/7/2020 si legge infatti che “Per altro verso, la corresponsione al titolare di una carica sociale, da parte della medesima organizzazione di appartenenza, di un compenso a fronte di attività svolta, diversa da quella riguardante l’incarico rivestito, incontra ulteriori limitazioni afferenti da un lato ad eventuali profili di conflitto di interesse; dall’altro al divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili, di cui al sopra richiamato articolo 8 commi 2 e 3 lettera a).  In ogni caso, per le organizzazioni di volontariato e per le associazioni di promozione sociale dovrà tenersi conto delle previsioni rispettivamente di cui agli articoli 33, comma 1 e 36”.

Non viene pertanto affermato il divieto di instaurare una collaborazione retribuita con un componente l’organo amministrativo ma l’esistenza di alcune limitazioni per cui si rende necessario dimostrare che:

1. non si è configurato alcun conflitto di interessi: l’interessato si è astenuto dalla delibera e possibilmente la stessa è stata assunta dall’assemblea dei soci;

2.   il compenso è tale da non qualificarsi come forma di distribuzione indiretta di utili per cui non è superiore “del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale di cui all'articolo 5, comma 1, lettere b) (interventi e prestazioni sanitarie), g) (formazione universitaria e post-universitaria) o h) (ricerca scientifica di particolare interesse sociale);”

3.   l’ente del terzo settore che si qualifica come associazione di promozione sociale dimostri che l’attività sia svolta prevalentemente con l’apporto gratuito dei soci e che il ricorso a risorse umane retribuite sia necessario ai fini dello svolgimento dell’attività di interesse generale e al perseguimento delle finalità promosse e, in ogni caso, che il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non sia alternativamente superiore al 50% del numero dei volontari o al 5% del numero degli associati.

Non di chiara lettura appare però il capoverso successivo della menzionata Nota n. 6214 del 9/7/2020 laddove il Ministero afferma che

“Con riferimento all’ulteriore caso richiamato da codesto Ufficio, si precisa che non risulta particolarmente problematica la possibilità per un soggetto che ha svolto attività retribuita per conto dell’ente di candidarsi a ricoprire una carica sociale; dovrà aversi invece cura che all’avvio dell’attività di titolare della carica sociale la prestazione retribuita sia terminata e che in costanza di incarico non ne vengano commissionate di ulteriori”.

Se infatti il comma precedente contempla la possibilità per il titolare della carica sociale di ricevere un incarico retribuito, a condizione che siano rispettati i vincoli sopra evidenziati, qui il Ministero pare voler affermare una sostanziale incompatibilità nonostante il Codice del terzo settore non abbia affermato tale principio.

Un ulteriore problema interpretativo si pone in relazione alla condizione del componente il consiglio direttivo che svolga gratuitamente l’incarico elettivo ma sia retribuito, per esempio, per una attività professionale richiesta dall’organizzazione.

Qui entra in gioco l’articolo 17 del Codice del terzo settore ai sensi del quale “La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l'ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria.”

Da una interpretazione letterale dovremmo affermare quindi che il componente un organo elettivo potrebbe essere retribuito per la prestazione lavorativa svolta solo a condizione che riceva anche una indennità di carica? Urgono chiarimenti ministeriali.

Arsea Comunica n. 30 del 26/02/2022

 

 

 

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