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Siamo assolutamente liberi nella scelta del contratto collettivo da applicare?

La scelta del contratto collettivo da applicare rientra, in via generale, nelle prerogative di organizzazione del datore di lavoro e nella libertà negoziale delle parti sancito dall’articolo 39 della Carta costituzionale[i] ma è opportuno ricordare che diverse disposizioni, accompagnate da provvedimenti di prassi e da interventi giurisprudenziali, di fatto circoscrivono questa libertà.

 

Vuoi partecipare ad un appalto? Attento al contratto collettivo che applichi.

La libertà di scelta del contratto collettivo da applicare non è assoluta, incontrando il limite, logico e giuridico, della necessaria coerenza tra il contratto che in concreto si intende applicare - e in riferimento al quale si formula l’offerta di gara - e l’oggetto dell’appalto.

Su tale aspetto è di recente intervenuto il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza 25 febbraio 2020, n. 1406 nel solco di un orientamento giurisprudenziale consolidato[ii]. Tanto all’evidente fine di “garantire, con la generalizzata applicazione dei contratti collettivi, che il personale impiegato sia adeguatamente tutelato per la parte giuridica e percepisca una retribuzione proporzionata rispetto all’attività in concreto svolta e, allo stesso tempo, sotto diverso profilo, la stessa corretta esecuzione delle prestazioni oggetto della commessa attraverso una vincolante connessione funzionale delle stesse con i profili professionali più appropriati.

Del resto, è agevole comprendere come la libertà incondizionata nell'applicare le discipline contrattuali collettive abbia un'inevitabile ricaduta anche sull'offerta, e, mediatamente, sulla effettività del regime concorrenziale”[iii].

 

Vuoi accedere a benefici normativi e contributivi?

In questo caso è necessario applicare i contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. A prevederlo è l’articolo 1, comma 1175 della Legge 296/2006 ai sensi del quale

A decorrere dal 1° luglio 2007, i benefìci normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Come evidenziato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro nella Circolare 3/2018, il contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale rappresenta inoltre il parametro ai fini del calcolo della contribuzione dovuta, indipendentemente dal Contratto Collettivo nazionale di lavoro applicato ai fini retributivi, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1, del DL 338/1989 unitamente all’art. 2, comma 25, della Legge 549/1995.

 

Vuoi beneficiare di istituti in deroga?

Si ricorda che l’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015 – recante, tra l’altro, la “disciplina organica dei contratti di lavoro (…)” – stabilisce che “salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.

Ne consegue che laddove nel Decreto si rimette alla “contrattazione collettiva” il compito di integrare la disciplina delle tipologie contrattuali, gli interventi di contratti privi del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi non hanno alcuna efficacia.

Ciò può avvenire, a titolo meramente esemplificativo, in relazione al contratto di lavoro intermittente, al contratto a tempo determinato o a quello di apprendistato ma anche nei casi di collaborazioni coordinate e continuative.

Ne consegue che, laddove il datore di lavoro/committente abbia applicato una disciplina dettata da un contratto collettivo che non è quello stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, gli effetti derogatori o di integrazione della disciplina normativa non possono trovare applicazione.

Ciò potrà comportare la mancata applicazione degli istituti di flessibilità previsti dal D.Lgs. n. 81/2015 e, a seconda delle ipotesi, anche la “trasformazione” del rapporto di lavoro in quella che, ai sensi dello stesso Decreto, costituisce “la forma comune di rapporto di lavoro”, ossia il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

Sei una cooperativa o un Ente del Terzo Settore? In ogni caso niente ricorso ai c.d. contratti pirata.

Per quanto concerne le società cooperative, l’articolo 7 del Decreto-legge 31/12/2007 n. 248 prevede che

“4.  Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria[iv]”.

La cooperativa pertanto è libera nella scelta del contratto collettivo ma i trattamenti economici non possono in ogni caso essere inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

Con riferimento alla generalità degli Enti del Terzo Settore, l’articolo 16 del DLgs 117/2017 introduce un analogo vincolo prevedendo che

“1.  I lavoratori degli enti del Terzo settore hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”, ossia i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.

 

 

Arsea Comunica n. 26 del 3/03/2020



NOTE

[i] Ai sensi dell’art. 39 della Costituzione, “L'organizzazione sindacale è libera.

Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.

È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.

I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

[ii] Cons. Stato Sez. V, Sent., 6/8/2019, n. 5574; Sez. V, 6/8/2019, n. 5575; Sez. V, Sent., 23/7/2018, n. 4443; Sez. III, 12/3/2018 n. 1574; Sent. n. 276 del 17/1/2018; Sez. V, 1/3/2017, n. 932; V, 12/5/2016, n. 1901; III, 10/2/2016, n. 589

[iii] in termini Cons. Stato Sez. V, Sent., 06-08-2019, n. 5574; Cons. Stato Sez. V, 06/08/2019, n. 5575

[iv] La norma, a cui deve essere riconosciuto valore ricognitivo e interpretativo dell’art. 3 della legge n. 142/2001, statuisce che la retribuzione minima del socio lavoratore di cooperativa non può essere inferiore non già a quella prevista in un qualsiasi contratto collettivo depositato al CNEL, ma a quella prevista dal contratto del settore merceologico interessato siglato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (L. IMBERTI, Il socio lavoratore di cooperativa, Giuffrè, Milano, 2012, 181).
“La disposizione opera, quindi, una selezione degli attori collettivi facendo seguito al protocollo d’intesa del 10 ottobre 2007, sottoscritto da Ministero del lavoro, Ministero dello sviluppo economico, Agci, Confcooperative, Legacoop, Cgil, Cisl e Uil, con il quale le parti si impegnavano a creare osservatori permanenti finalizzati a contrastare l’attività di alcune associazioni di imprese e di alcuni sindacati autonomi che avevano stipulato contratti collettivi al ribasso rispetto a quelli siglati dalle principali confederazioni sindacali. L’espressione “fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di cooperativa” ricalca quella a suo tempo utilizzata dalla legge Vigorelli e ne mette in risalto il carattere di temporaneità. Probabilmente il legislatore voleva mettere al riparo la disposizione da una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale, ma la normativa in materia di rapporto di lavoro dei soci di cooperative non ha bisogno di ulteriori attuazioni e deve, quindi, intendersi come definitiva. La stessa Corte costituzionale (Corte Cost. 1° aprile 2015, n. 51), rendendosi conto di ciò, ha confermato la legittimità costituzionale del predetto articolo 7 a prescindere dal carattere provvisorio dello stesso. Ad avviso della Consulta, il riferimento al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative deve intendersi come mero parametro esterno utilizzato dal giudice per garantire il trattamento retributivo minimo conforme all’art. 36 Cost. Non sussiste un contrasto con l’art. 39 Cost. perché, nel rispetto del principio di libertà sindacale, anche le sigle sindacali sfornite di maggiore rappresentatività possono stipulare contratti collettivi e stabilire i minimi retributivi, con l’unico limite che questi non devono essere in contrasto «con il diritto del singolo, intangibile da qualunque organizzazione sindacale, di percepire la giusta retribuzione ex art. 36 Cost.» (Maria Giovanna Greco “Contrattazione collettiva, contratti pirata e regolamenti nella determinazione dei livelli retributivi nelle cooperative di produzione e lavoro”).

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