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Beni culturali: quale lavoro e quale volontariato?

Paghe misere, straordinari spesso non pagati, alta formazione e scarse tutele. Questo è il quadro che emerge da una inchiesta sulle condizioni di lavoro nel settore dei beni culturali condotta dall’organizzazione “Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”, presentata il 30 ottobre scorso alla Camera dei deputati. L’inchiesta è durata un anno ed è stata realizzata somministrando un questionario a 1.546 operatori del settore.

I dati emersi sono allarmanti: la paga oraria media di un lavoratore del settore è meno di 8 euro l’ora, l’80% di chi ha risposto al questionario produce un reddito massimo di 15 mila euro annui, prevalentemente sotto i 10.000 euro annui.

Tra gli intervistati 373 dichiarano di aver aperto una partita IVA e nel 78% dei casi è stata una scelta obbligata per poter lavorare. In un settore in cui il principale datore di lavoro è la Pubblica Amministrazione, soprattutto per chi lavora nelle biblioteche, nei musei, negli scavi archeologici, negli archivi, parlare di libera professione è un ossimoro.

Per i dipendenti poi c’è il tema del contratto collettivo applicato: la maggior parte è inquadrata con un contratto di multiservizi, cioè una tipologia relativa al personale che si occupa di pulizie e che nulla a che vedere con le mansioni svolte. Un contratto per i lavoratori della cultura esiste dal 1999 e si chiama Federculture, ma solo il 7,2% lo applica.

L’organizzazione “Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali” ha quindi espresso tre precise richieste alle Istituzioni:

1) una norma che limiti il volontariato;

2) un nuovo regolamento che riveda i criteri di appalto ed esternalizzazione;

3) l’applicabilità del giusto Ccnl per i lavoratori del settore dei beni culturali.

 

Quale volontariato nel settore dei beni culturali?

L’otto maggio 2019 il Ministero dei Beni Culturali ha approvato un interessante bando per l’archiviazione e la digitalizzazione documentale dei fondi della magnifica Biblioteca Angelica di Roma. Il bando era destinato esclusivamente alle organizzazioni di volontariato che avrebbero stipulato una convenzione, della durata massima di 4 mesi eventualmente rinnovabile, per la realizzazione del servizio a fronte di un contributo a titolo di rimborso spese, per un importo lordo non superiore a 25 euro al giorno per ciascun volontario impiegato. La presenza giornaliera sarebbe dovuta essere della durata di cinque giorni per un massimo di cinque giorni settimanali, con un impiego massimo di 7 volontari.

Il bando risultava palesemente in contrasto con il principio di gratuità dell’attività di volontariato. In particolare, l’articolo 17 del Codice del Terzo Settore prevede che

“3.  L'attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere rimborsate dall'ente del Terzo settore tramite il quale svolge l'attività soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate per l'attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall'ente medesimo. Sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfetario.

4.  Ai fini di cui al comma 3, le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate anche a fronte di una autocertificazione resa ai sensi dell'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, purché non superino l'importo di 10 euro giornalieri e 150 euro mensili e l'organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso. La disposizione di cui al presente comma non si applica alle attività di volontariato aventi ad oggetto la donazione di sangue e di organi”.

Il bando viene però revocato a seguito dell’adozione da parte del Ministro dei Beni culturali dell’atto di indirizzo n. 259 del 29/05/2019, finalizzato a regolare le attività delle associazioni di volontariato che operano con gli istituti del Mibac.

Il Ministro ha voluto specificare che l’individuazione degli enti del Terzo settore con cui attivare convenzioni deve rispettare i principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento e le convenzioni devono essere sottoscritte in conformità alle disposizioni contenute nel Codice del Terzo settore. Inoltre, l’attività di volontariato non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario ed il ruolo del volontariato deve essere di mero “supporto all’attività istituzionale del personale interno al Ministero, nell’ottica di favorire la più ampia partecipazione alle attività di valorizzazione del patrimonio senza che ciò comporti alcun vincolo di subordinazione o di retribuzione collegabile alla disciplina delle mansioni o all’orario di lavoro”.

Ne consegue che “l’attività dei volontari non può in nessun modo configurarsi come sostituiva delle prestazioni svolte dal personale dipendente del Ministero”.

Infine, l’eventuale rimborso spese è disciplinato dal Codice del terzo settore e l’entità del rimborso non può essere ancorata a parametri temporali collegati alla prestazione svolta ed erogata dalla singola Associazioni.

 

Arsea Comunica n. 99 del 13/11/2019

 

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