Imprese sociali e lavoratori svantaggiati.
Il Decreto sull’impresa sociale[i] prevede che “si considera comunque di interesse generale, indipendentemente dal suo oggetto, l'attività d'impresa nella quale, per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, sono occupati:
a) lavoratori molto svantaggiati ai sensi dell'articolo 2, numero 99), del regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, e successive modificazioni (NdR, lavoratore privo da almeno 24 mesi di impiego regolarmente retribuito o lavoratore privo da almeno 12 mesi di impiego regolarmente retribuito che appartiene a una delle categorie di cui alle lettere da b) a g) della definizione di «lavoratore svantaggiato»);
b) persone svantaggiate o con disabilità ai sensi dell'articolo 112, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e successive modificazioni, nonché persone beneficiarie di protezione internazionale ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni, e persone senza fissa dimora iscritte nel registro di cui all'articolo 2, quarto comma, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, le quali versino in una condizione di povertà tale da non poter reperire e mantenere un'abitazione in autonomia”.
A tal fine, l’impresa sociale deve impiegare alle sue dipendenze un numero di persone di cui alle lettere a) e b) non inferiore al trenta per cento dei lavoratori e - ai fini del computo - i lavoratori di cui alla lettera a) non possono contare per più di un terzo e per più di ventiquattro mesi dall’assunzione.
È stato quindi richiesto al Ministero del Lavoro:
1) se il computo della percentuale dei lavoratori svantaggiati debba effettuarsi “per teste” o non con riferimento al “monte ore” lavorate;
2) se il calcolo della percentuale derivi dal rapporto tra lavoratori svantaggiati e lavoratori non svantaggiati oppure da quello tra lavoratori svantaggiati e totale dei lavoratori (dato dalla somma tra lavoratori svantaggiati e lavoratori non svantaggiati);
temi già affrontati in passato rispetto alle cooperative sociali con indicazioni che il Ministero del Lavoro (Nota n. 4097 del 3.05.2019) conferma valide per le imprese sociali, attesi i medesimi obiettivi e l’opportunità di garantire uniformità di trattamento.
In particolare, il Ministero del Lavoro[ii] aveva chiarito che il calcolo del 30% deve essere effettuato per testa e non in base alle ore effettivamente svolte dai lavoratori stessi perché l’obiettivo è creare opportunità di lavoro per persone che, proprio a causa della loro condizione di disagio psichico, fisico e sociale, trovano difficoltà all’inserimento nel mercato del lavoro, anche e soprattutto laddove si richieda loro una prestazione lavorativa a tempo pieno. L’INPS[iii] invece ha chiarito che nel computo del totale dei lavoratori non devono essere considerati anche i lavoratori svantaggiati.
Arsea comunica n. 34 del 8/05/2019
[i] D.lgs. n. 112/2017
[ii] Interpello n. 17/2015
[iii] Circolare INPS n. 188 del 17.06.1994
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