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IMU o NON IMU? La parola della Cassazione.

Come è noto, la disciplina dell’imposta comunale sugli immobili – prima ICI e oggi IMU – ha subito negli anni una ridefinizione anche a seguito delle sollecitazioni dell’Unione europea che ha ritenuto il regime di esenzione nei confronti degli Enti non commerciali come aiuto di Stato, salvo il sussistere di determinate circostanze.

L’attuale disciplina dell’imposta è contenuta nel combinato disposto dell’articolo 7 del Decreto legislativo 30/12/1992 n. 504 e del suo Decreto attuativo, ossia il DM 200/2012.

Il citato articolo 7, nella formulazione attualmente in vigore, prevede che siano esenti dall’IMU:

“a) gli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, nonché dai comuni, se diversi da quelli indicati nell'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 4, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, dalle unità sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui all'articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dalle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali;

b) i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9;

c) i fabbricati con destinazione ad usi culturali di cui all'articolo 5-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e successive modificazioni;

d) i fabbricati destinati esclusivamente all'esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze;

e) i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato lateranense, sottoscritto l'11 febbraio 1929 e reso esecutivo con legge 27 maggio 1929, n. 810;

f) i fabbricati appartenenti agli Stati esteri e alle organizzazioni internazionali per i quali è prevista l'esenzione dall'imposta locale sul reddito dei fabbricati in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia;

g) i fabbricati che, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati al fine di essere destinati alle attività assistenziali di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, limitatamente al periodo in cui sono adibiti direttamente allo svolgimento delle attività predette;

h) i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984;

i) gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, fatta eccezione per gli immobili posseduti da partiti politici, che restano comunque assoggettati all'imposta indipendentemente dalla destinazione d'uso dell'immobile, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.

La lettera i) prevede quindi che gli enti non commerciali siano esenti da IMU nel momento in cui l’immobile sia destinato esclusivamente ad attività

-   assistenziali,

-   previdenziali,

-   sanitarie,

-   di ricerca scientifica,

-   didattiche,

-   ricettive,

-   culturali,

-   ricreative e sportive

-   attività di religione o di culto quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana;

a condizione inoltre che tali attività siano svolte con modalità non commerciali.

Si è posto quindi il tema della liquidazione dell’imposta nel caso in cui l’immobile avesse un utilizzo promiscuo: nel normare tale aspetto, il Ministero, con il DM 200/2012, è intervenuto però anche nel definire il concetto di svolgimento con modalità non commerciali. A tal fine ha individuato:

1) un presupposto di carattere generale, ossia la circostanza che l’ente non commerciale prevedesse nel proprio atto costitutivo o statuto

a) “il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge, ovvero siano effettuate a favore di enti che per legge, statuto o regolamento, fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente;

b) l'obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale;

c)   l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente non commerciale in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga un'analoga attività istituzionale, salvo diversa destinazione imposta dalla legge”;

2) dei requisiti differenziati a seconda della tipologia di attività esercitata, ossia

a) per le attività assistenziali e attività sanitarie la necessità che:

- fossero accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e svolte, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente, in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, prestando a favore dell'utenza, alle condizioni previste dal diritto dell'Unione europea e nazionale, servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall'ordinamento per la copertura del servizio universale;

- qualora non fossero accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali, fossero svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con il costo effettivo del servizio;

b) per le attività didattiche la necessità che:

- l'attività fosse paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni;

- fossero comunque osservati gli obblighi di accoglienza di alunni portatori di handicap, di applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli standard previsti, di pubblicità del bilancio;

- l'attività fosse svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con lo stesso;

c) per lo svolgimento di attività ricettive, culturali, ricreative, sportive dilettantistiche veniva richiesto che le attività fossero svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con il costo effettivo del servizio.

La Corte di Cassazione (sentenza n. 10124 depositata l’11.04.2019) interviene nell’ambito di un contenzioso legato alla liquidazione del tributo da parte di un Istituto religioso relativamente ad un immobile destinato allo svolgimento di attività sanitaria in convenzione con il Sistema sanitario. La Cassazione, pur evidenziando che l’accertamento riguardava in ogni caso un periodo antecedente a quello di approvazione del DM 200/2012, ha osservato che

“nessun valore vincolante può essere attribuito sul punto al D. del Ministero dell'Economia e delle Finanze 19 novembre 2012, n. 200, art. 4, comma 2. Esso non ha valore di legge, tanto più che lo stesso appare, per questa parte, essere stato emanato ultra vires, dato che il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91-bis, non demandava al decreto ministeriale il compito di definire autoritativamente il concetto di "modalità non commerciali" ma solo il compito di stabilire modalità e procedure da seguire in caso di utilizzazione mista di un immobile, al fine di individuare il rapporto percentuale tra utilizzazione commerciale e utilizzazione non commerciale dell'immobile stesso.

Potremmo pertanto aspettarci interventi volti a quantificare l’imposta in misura diversa soprattutto con riferimento a chi opera nel settore sanitario accreditato e contrattualizzato e nel settore scolastico che potrebbe vedersi recapitare una pesante cartella. L’effetto di questa interpretazione potrebbe però essere esteso alla qualificazione fiscale di tali enti come enti commerciali, con pesanti conseguenze su tutto il sistema del relativo finanziamento pubblico.

 

Arsea comunica n. 28 del 23/04/2019

 

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