Si è tenuto questo fine settimana Strati della Cultura, l’appuntamento nazionale che l’ARCI organizza dal 2007 per confrontare le proprie proposte sulla ‘promozione culturale’ con il mondo delle istituzioni, della politica, della cultura. L’edizione 2018 si è concentrata sulle esperienze di rigenerazione urbana in Italia e all’estero, con un particolare interesse per quei progetti che hanno un forte radicamento territoriale e prevedono processi reali di partecipazione attiva dei cittadini e delle organizzazioni culturali e sociali e sulle connessioni tra impresa culturale, impresa sociale e processi di partecipazione attiva dei cittadini in ambito culturale.
Qui di seguito l’intervento di Francesca Colecchia sul tema dell’impresa sociale culturale.
La promozione della cultura trova pieno riconoscimento nella Riforma del Terzo settore atteso che tra le attività di interesse generale, espressamente contemplate sia dal Codice del Terzo settore che dal Decreto sull’impresa sociale, vengono indicate
d) le attività culturali di interesse sociale con finalità educativa;
f) gli interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio;
i) l’organizzazione e gestione di attività culturali di interesse sociale, incluse le attività editoriali;
j) l’attività di radiodiffusione sonora a carattere comunitario,
k) l’organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse culturale;
z) la riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata.
Essere Ente del Terzo settore rappresenta senza dubbio una opportunità: la Legge delega della Riforma prevede che “L'iscrizione nel Registro (…) è obbligatoria per gli enti del Terzo settore che si avvalgono prevalentemente o stabilmente di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei destinati al sostegno dell'economia sociale o che esercitano attività in regime di convenzione con enti pubblici” ed il Codice del Terzo settore prevede che le Pubbliche Amministrazioni coinvolgano gli Enti del Terzo settore nei percorsi di coprogrammazione e coprogettazione dei servizi ed attività che interessano anche il mondo culturale. Si pensi anche alla sperimentazione in Lombardia dei PIC - Piani Integrati della Cultura, finalizzati ad attuare, sia su scala territoriale che su tematiche prioritarie, interventi integrati di promozione del patrimonio culturale e di attività ed eventi culturali, per favorire processi di valorizzazione territoriale che coinvolgano anche ambiente, artigianato, formazione, istruzione, ricerca, turismo e welfare.
La Riforma porta in sé anche alcuni aspetti critici:
1) le novità di natura fiscale introdotte avranno un pesante effetto sulle miriadi di associazioni che oggi garantiscono un’ampia offerta culturale e
2) la circostanza che si parli non di attività culturali ma di attività culturali di interesse sociale potrebbe sollevare importanti dubbi interpretativi.
Sotto il primo profilo, con l’entrata in vigore[i] delle disposizioni fiscali introdotte dal Codice del Terzo settore, le associazioni culturali non potranno più beneficiare della decommercializzazione dei corrispettivi specifici versati dai propri soci per usufruire dei servizi istituzionali[ii]. Tali agevolazioni saranno infatti condizionate alla circostanza che i sodalizi si qualifichino come associazioni di promozione sociale[iii].
Le associazioni culturali devono quindi verificare se possono assumere la veste di associazioni di promozione sociale, come le associazioni già iscritte nel registro della promozione sociale devono verificare se permangono le condizioni per mantenere detto status: cambiano infatti i relativi presupposti.
Le associazioni di promozione sociale sono tali, infatti, se operano prevalentemente con l’apporto gratuito dei soci e, in ogni caso, a condizione che il numero delle risorse umane in qualsiasi forma retribuite sia inferiore al 5% dei soci dell’associazione oppure al 50% dei volontari attivi e con un impegno continuativo[iv].
Immaginiamo l’associazione culturale che gestisce, in convenzione con il Comune, un servizio di animazione culturale giovanile. Non è necessariamente un’associazione con base associativa ampia perché realizza un servizio di interesse generale in favore della collettività ma necessita di diverse risorse umane retribuite per cui non rispetterebbe il parametro numerico richiesto per essere qualificata come associazione di promozione sociale.
Appare evidente che molte realtà, a base associativa non ampia, difficilmente potranno garantire il rispetto di tale parametro, attesa la frequente necessità di avvalersi nell’organizzazione delle attività culturali di professionalità diverse, con un conseguente coinvolgimento di un numero non irrisorio di persone anche a fronte di un costo contenuto di risorse umane.
Laddove non si configuri la possibilità di qualificarsi come associazione di promozione sociale, quali strade si aprono?
Ci potremmo trovare di fronte ad un Ente del Terzo settore generico oppure ad una impresa sociale.
L’Ente del Terzo settore generico accede alle agevolazioni principali nella misura in cui si qualifica come ente non commerciale. Diventa però commerciale, con l’entrata in vigore dell’art. 79[v] del Codice del Terzo settore, l’attività in cui le entrate superano i costi effettivi. Si considerano infatti di natura non commerciale le attività di interesse generale, ivi incluse quelle accreditate o contrattualizzate o convenzionate con le amministrazioni pubbliche solo quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici degli enti di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall'ordinamento.
Immaginiamo un’associazione che organizza il cartello delle iniziative culturali estive grazie ad un contributo o ad un contributo corrispettivo dal Comune.
Oggi sia il contributo che il contributo corrispettivo del Comune sono defiscalizzati sotto il profilo delle imposte dirette e nel caso di contributo corrispettivo non è richiesta rendicontazione per cui l’introito potrebbe anche essere superiore ai costi effettivi dell’attività culturale realizzata.
Domani le entrate saranno considerate commerciali nel momento in cui, complessivamente, superano i costi effettivi.
Qualora l’Ente del Terzo settore percepisca prevalentemente introiti di natura commerciale[vi], assume la qualifica di Ente commerciale e perde così benefici in termini di semplificazioni contabile e di forfetizzazione delle imposte, pur mantenendo la qualifica di Ente del Terzo settore.
A questo tema si aggiunge quello dei possibili limiti all’autofinanziamento attraverso attività diverse da quelle di interesse generale. Come è noto, il Codice del Terzo settore prevede che sia possibile svolgere attività diverse da quelle di interesse generale esclusivamente se previste dallo statuto e qualificabili come attività strumentali e sussidiarie. Se il concetto di sussidiarietà dovesse essere tradotto in limitazioni rispetto ai volumi di entrate da attività diverse da quelle di interesse generale, gli Enti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali si troverebbero fortemente limitati.
Ne consegue che l’organizzazione che non si avvale in misura significativa di volontari e/o svolge attività di interesse generale che eccedono però i costi effettivi o svolge attività diverse da quelle di interesse generale con modalità non conformi ai criteri dell’emanando decreto, dovrà valutare se qualificarsi come impresa sociale.
Il percorso prevede prima la scelta della tipologia di impresa sociale, potrebbe infatti trattarsi di:
1) un ente associativo impresa sociale, nel qual caso è espressamente vietata qualsiasi forma di distribuzione di utili ma è possibile garantire ai donatori interessanti agevolazioni fiscali;
2) una cooperativa sociale ma, in tal caso, gli ambiti di attività sono limitati perché deve trattarsi di una cooperativa di inserimento lavorativo o che organizza attività culturali di interesse sociale con finalità educative;
3) una società impresa sociale che ammette una forma di distribuzione di utili ma nel limite massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale sociale versato.
Ne consegue che una associazione di promozione sociale potrà mantenere la natura giuridica di associazione ma assumere la veste di impresa sociale migrando[vii] dalla sezione del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore dedicato alla promozione sociale verso quello dell’impresa sociale, senza dover devolvere il suo patrimonio.
Del pari, la stessa associazione potrebbe valutare la trasformazione eterogenea in società impresa sociale, anche se la possibile distribuzione di utili che la forma societaria consente potrebbe inibire tale operazione straordinaria.
A seconda del percorso prescelto i sistemi di vantaggio sono differenziati mentre comuni sono gli oneri:
1) costituzione per atto pubblico[viii],
2) contabilità ordinaria[ix],
3) obbligo di approvare unitamente al bilancio civilistico il bilancio sociale tenendo conto anche della misurazione dell’impatto sociale[x] delle attività svolte,
4) presenza obbligatoria dell’organo di controllo a prescindere dai volumi di attività[xi],
5) coinvolgimento diretto dei collaboratori e degli utenti del servizio ed in generale degli stakeholders[xii],
6) assoggettamento a forme di controllo analoghe a quelle previste per le cooperative[xiii].
Rispetto al delicato tema della misurazione di impatto sociale, appare opportuno effettuare una indagine dei sistemi di valutazione già adottati in ambito culturale, avvalendosi anche della collaborazione del mondo accademico, al fine di offrire a tutti i soggetti del Terzo settore strumenti operativi adattati alla tipologia di attività svolta. Tale tema investe infatti anche i soggetti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali, considerato che tale aspetto potrebbe essere valutato dalla Pubblica Amministrazione nell’affidamento dei servizi convenzionati[xiv].
Percorsa la strada dell’impresa sociale culturale, quali sono i vantaggi che ne derivano oltre alla possibilità di avvalersi stabilmente di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni o di fondi europei destinati al sostegno dell'economia sociale e di collaborare con le Pubbliche Amministrazioni nella progettazione degli interventi?
Sinteticamente possiamo individuarli nei seguenti termini:
1) posso detassare gli utili destinati a riserve, anche a copertura perdite, mentre risulta imponibile qualsiasi forma di distribuzione di utile ai soci, anche sotto forma di aumento gratuito del capitale sociale[xv], o sotto forma di erogazioni liberali in favore di altri ETS diversi dalle imprese sociali;
2) posso garantire incentivi fiscali a chi effettua donazioni dirette alle mie attività di interesse generale, se sono costituita in forma di ente associativo o di cooperativa sociale. Le persone fisiche potranno scegliere se:
a) detrarre il 30% della donazione sostenuta per un importo complessivo in ciascun periodo d'imposta non superiore a 30.000 euro oppure
b) dedurre dal reddito complessivo netto la donazione nel limite del 10% del proprio reddito complessivo dichiarato.
Se a donare è una azienda – o meglio un soggetto passivo IRES – si applica l’agevolazione della deduzione dal reddito[xvi];
3) posso garantire incentivi fiscali a chi investe nel capitale sociale di imprese sociali costituite in forma societaria, anche cooperativa sociale e in donazioni o patrimonio nelle fondazioni, purché abbia acquisito la qualifica di impresa sociale da non più di cinque anni:
- le persone fisiche possono detrarre dall'imposta lorda un importo pari al 30% della somma investita, non superiore in ogni caso al milione di euro in ciascun periodo d'imposta;
- per i soggetti passivi IRES, non concorre invece alla formazione del reddito il 30% della somma investita che, in ciascun periodo d'imposta, non può essere superiore ad un milione e ottocento mila euro.
In entrambi i casi l’investimento non può essere ceduto prima di cinque anni, pena la decadenza dal beneficio e quindi l'obbligo di restituire quanto detratto unitamente agli interessi;
4) posso – se sono costituita in forma societaria, anche cooperativa sociale - offrire quote o azioni della società attraverso portali telematici dedicati (c.d. equity crowdfunding) con la opportunità quindi di raggiungere potenzialmente un pubblico ampio anche se l’investimento pro capite resta modesto;
5) posso accedere ad alcune agevolazioni sulle imposte indirette[xvii]. In particolare, tutte le imprese sociali se acquistano un immobile versano l’imposta di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa e non in percentuale al valore dell’immobile.
Sono poi previste le seguenti agevolazioni solo per le imprese sociali in forma di ente associativo o di cooperativa sociale:
- se mi regalano un bene da utilizzare per le attività di interesse generale, non verso imposte di successione e donazioni, né imposte ipotecarie e catastali;
- su atti costitutivi, modifiche statutarie, operazioni di fusioni/scissione/trasformazione applico le imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa e non percentuale;
- posso accedere alle agevolazioni in materia di IRAP;
- sono esente da imposta di bollo, concessione governativa, imposta sugli intrattenimenti nelle attività occasionali di raccolta fondi.
L’impresa sociale culturale potrebbe inoltre assumere la veste di impresa culturale e creativa, ai sensi dell’art.1 commi 57 e seguenti della Legge di Bilancio 2018.
Si tratta di imprese che hanno quale oggetto sociale, in via esclusiva o prevalente, l'ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la conservazione, la ricerca e la valorizzazione o la gestione di prodotti culturali, intesi quali beni, servizi e opere dell'ingegno inerenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, alle arti applicate, allo spettacolo dal vivo, alla cinematografia e all'audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazione ad esso collegati.
Per quanto quindi i concetti non siano sovrapponibili, non si esclude che una impresa sociale culturale possa anche qualificarsi come impresa culturale e creativa.
A tale organismo la Legge di Bilancio garantiva un incentivo fiscale, rappresentato da un credito di imposta del 30% dei costi sostenuti per attività di sviluppo, produzione e promozione di prodotti e servizi culturali e creativi, con un limite di spesa per il 2018 di mezzo milione di euro, innalzato ad un milione per il 2019 e 2020 e fino ad esaurimento delle risorse disponibili. La vigenza dell’istituto è rimessa però a Decreti attuativi non ancora adottati.
Per concludere, l’impresa sociale culturale accede sicuramente ad una serie di benefici, connessi sia ai rapporti con la Pubblica amministrazione che di natura fiscale, ma l’eventuale passaggio dalla gestione di una associazione culturale ad una impresa sociale culturale non sarà indolore per i costi gestionali che implica: un ruolo fondamentale potrebbe essere assolto dalle reti associative come l’ARCI che possono configurarsi come incubatori di impresa sociale garantendone la nascita nel momento in cui si verifichino le condizioni economiche per farlo.
Arsea Comunica n. 90 del 1/12/2018
NOTE
[i] L’entrata in vigore è prevista, acquisito l’assenso dell’Unione europea, solo dall’esercizio successivo a quello di funzionamento del Registro Unico Nazionale del Terzo settore. Rispetto al Registro Unico Nazionale del Terzo settore, il Codice aveva previsto (art.53) che il Ministero emanasse il Decreto con cui doveva essere definita la procedura per l’iscrizione nel RUNTS entro i primi di agosto del 2018, che le Regioni avrebbero avuto successivamente sei mesi di tempo per adottare i relativi atti attuativi e avrebbero assicurato, entro sei mesi dalla predisposizione della struttura informativa, l’operatività del Registro. Tali termini devono però intendersi ordinatori e non perentori. Pare che il testo del Decreto ministeriale sia stato elaborato ma che il Ministero stia trattando la tempistica con la Camera di commercio che dovrebbe gestire il suo funzionamento sotto il profilo informatico.
[ii] Art. 89 del DLgs 117/2017 “4. All'articolo 148, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 le parole «Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona non si considerano commerciali» sono sostituite dalle seguenti: «Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, sportive dilettantistiche non si considerano commerciali».
[iii] Art. 85 DLgs 117/2017 “1. Non si considerano commerciali le attività svolte dalle associazioni di promozione sociale in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti dei propri associati e dei familiari conviventi degli stessi, ovvero degli associati di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, nonché nei confronti di enti composti in misura non inferiore al settanta percento da enti del Terzo settore ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera m). 2. Non si considerano, altresì, commerciali, ai fini delle imposte sui redditi, le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati e ai familiari conviventi degli stessi verso pagamento di corrispettivi specifici in attuazione degli scopi istituzionali”.
[iv] Art. 36 DLgs 117/2017 “1. Le associazioni di promozione sociale possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, anche dei propri associati, fatto comunque salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 5, solo quando ciò sia necessario ai fini dello svolgimento dell'attività di interesse generale e al perseguimento delle finalità. In ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati nell'attività non può essere superiore al cinquanta per cento del numero dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati.”
[v] Art. 79 DLgs 117/2017 “2. Le attività di interesse generale di cui all'articolo 5, ivi incluse quelle accreditate o contrattualizzate o convenzionate con le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, l'Unione europea, amministrazioni pubbliche straniere o altri organismi pubblici di diritto internazionale, si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici degli enti di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall'ordinamento”.
[vi] Fanno eccezione gli introiti da sponsorizzazione
[vii] “3. Se vengono meno i requisiti per l'iscrizione dell'ente del Terzo settore in una sezione del Registro ma permangono quelli per l'iscrizione in altra sezione del Registro stesso, l'ente può formulare la relativa richiesta di migrazione che deve essere approvata con le modalità e nei termini previsti per l'iscrizione nel Registro unico nazionale”.
[viii] Art. 5 DLgs 112/2017
[ix] Art. 9 DLgs 112/2017 “1. L'impresa sociale deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari in conformità alle disposizioni del codice civile applicabili, e deve redigere e depositare presso il registro delle imprese il bilancio di esercizio redatto, a seconda dei casi, ai sensi degli articoli 2423 e seguenti, 2435 bis o 2435 ter del codice civile, in quanto compatibili.
2. L'impresa sociale deve, inoltre, depositare presso il registro delle imprese e pubblicare nel proprio sito internet il bilancio sociale redatto secondo linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Consiglio nazionale del Terzo settore di cui all'articolo 5, comma 1, lettera g), della legge 6 giugno 2016, n. 106, e tenendo conto, tra gli altri elementi, della natura dell'attività esercitata e delle dimensioni dell'impresa sociale, anche ai fini della valutazione dell'impatto sociale delle attività svolte.
[x] Art. 7 L.106/2016 “Per valutazione dell'impatto sociale si intende la valutazione qualitativa e quantitativa, sul breve, medio e lungo periodo, degli effetti delle attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all'obiettivo individuato”.
[xi] Art 10 DLgs 112/2017 “1. Fatte salve disposizioni più restrittive relative alla forma giuridica in cui l'impresa sociale è costituita, l'atto costitutivo dell'impresa sociale deve prevedere la nomina di uno o più sindaci aventi i requisiti di cui all'articolo 2397, comma 2, e 2399 del codice civile.
2. I sindaci vigilano sull'osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, anche con riferimento alle disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, qualora applicabili, nonché sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile e sul suo concreto funzionamento.
3. I sindaci esercitano, inoltre, compiti di monitoraggio dell'osservanza delle finalità sociali da parte dell'impresa sociale, avuto particolare riguardo alle disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4, 11 e 13, ed attestano che il bilancio sociale sia stato redatto in conformità alle linee guida di cui all'articolo 9, comma 2. Il bilancio sociale dà atto degli esiti del monitoraggio svolto dai sindaci.
4. I sindaci possono in qualsiasi momento procedere ad atti di ispezione e di controllo. A tal fine, essi possono chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento ai gruppi di imprese sociali, sull'andamento delle operazioni o su determinati affari.
5. Fatte salve disposizioni più restrittive relative alla forma giuridica in cui l'impresa sociale è costituita, nel caso in cui l'impresa sociale superi per due esercizi consecutivi due dei limiti indicati nel primo comma dell'articolo 2435 bis del codice civile, la revisione legale dei conti è esercitata da un revisore legale o da una società di revisione legale iscritti nell'apposito registro, o da sindaci iscritti nell'apposito registro dei revisori legali.”
[xii] Art. 11 “1. Nei regolamenti aziendali o negli statuti delle imprese sociali devono essere previste adeguate forme di coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti e di altri soggetti direttamente interessati alle loro attività.
2. Per coinvolgimento deve intendersi un meccanismo di consultazione o di partecipazione mediante il quale lavoratori, utenti e altri soggetti direttamente interessati alle attività siano posti in grado di esercitare un'influenza sulle decisioni dell'impresa sociale, con particolare riferimento alle questioni che incidano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni o dei servizi.
3. Le modalità di coinvolgimento devono essere individuate dall'impresa sociale tenendo conto, tra gli altri elementi, dei contratti collettivi di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, della natura dell'attività esercitata, delle categorie di soggetti da coinvolgere e delle dimensioni dell'impresa sociale, in conformità a linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Consiglio nazionale del Terzo settore. Delle forme e modalità di coinvolgimento deve farsi menzione nel bilancio sociale di cui all'articolo 9, comma 2.
4. Gli statuti delle imprese sociali devono in ogni caso disciplinare:
a) i casi e le modalità della partecipazione dei lavoratori e degli utenti, anche tramite loro rappresentanti, all'assemblea degli associati o dei soci;
b) nelle imprese sociali che superino due dei limiti indicati nel primo comma dell'articolo 2435 bis del codice civile ridotti della metà, la nomina, da parte dei lavoratori ed eventualmente degli utenti di almeno un componente sia dell'organo di amministrazione che dell'organo di controllo.
5. Il presente articolo non si applica alle imprese sociali costituite nella forma di società cooperativa a mutualità prevalente e agli enti di cui all'articolo 1, comma 3”.
[xiii] Art. 15. “2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali demanda all'Ispettorato nazionale del lavoro di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 149, le funzioni ispettive, al fine di verificare il rispetto delle disposizioni del presente decreto da parte delle imprese sociali.
3. Ai fini dell'esercizio dell'attività ispettiva nei confronti delle imprese sociali il Ministero del lavoro e delle politiche sociali può avvalersi di enti associativi riconosciuti, cui aderiscano almeno mille imprese sociali iscritte nel registro delle imprese di almeno cinque diverse regioni o province autonome, e delle associazioni di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220.
4. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali sono definiti le forme, i contenuti e le modalità dell'attività ispettiva sulle imprese sociali, nonché il contributo per l'attività ispettiva da porre a loro carico, e, ai fini del comma 3, sono individuati i criteri, i requisiti e le procedure per il riconoscimento degli enti associativi tra imprese sociali, e le forme di vigilanza su tali enti da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Le imprese sociali sono sottoposte ad attività ispettiva almeno una volta all'anno sulla base di un modello di verbale approvato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
5. L'attività ispettiva sulle imprese sociali costituite in forma di società cooperativa è svolta nel rispetto delle attribuzioni, delle modalità e dei termini di cui al decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sono individuate le norme di coordinamento necessarie al fine di assicurare l'unicità, la completezza, la periodicità e l'efficacia dell'attività ispettiva.
6. In caso di accertata violazione delle disposizioni di cui al presente decreto, il soggetto esercente l'attività ispettiva ai sensi dei commi 2 e 3 diffida gli organi di amministrazione dell'impresa sociale a regolarizzare i comportamenti illegittimi entro un congruo termine.
7. In caso di ostacolo allo svolgimento dell'attività ispettiva o di mancata ottemperanza alla diffida di cui al comma 6, il Ministero vigilante può nominare un commissario ad acta, anche nella persona del legale rappresentante dell'impresa sociale, che affianchi gli organi dell'impresa sociale e provveda allo specifico adempimento richiesto.
8. Nel caso di irregolarità non sanabili o non sanate il Ministro vigilante dispone la perdita della qualifica di impresa sociale. Tale provvedimento dispone altresì che il patrimonio residuo dell'impresa sociale, dedotto, nelle imprese sociali costituite nelle forme di cui al libro V del codice civile, il capitale effettivamente versato dai soci, eventualmente rivalutato o aumentato, e i dividendi deliberati e non distribuiti nei limiti di cui all'articolo 3, comma 3, lettera a), è devoluto al fondo istituito ai sensi dell'articolo 16 dall'ente o dall'associazione cui l'impresa sociale aderisce o, in mancanza, dalla Fondazione Italia Sociale, salvo quanto specificamente previsto in tema di società cooperative. Il provvedimento è trasmesso ai fini della cancellazione dell'impresa sociale dall'apposita sezione del registro delle imprese.
9. Avverso i provvedimenti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali emessi ai sensi del comma 8 è ammesso ricorso dinanzi al giudice amministrativo”.
[xiv] La Legge 106/2016 prevede che “Con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, comma 2, lettera b), si provvede al riordino e alla revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del Terzo settore mediante la redazione di un codice per la raccolta e il coordinamento delle relative disposizioni, con l'indicazione espressa delle norme abrogate a seguito della loro entrata in vigore, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: valorizzare il ruolo degli enti nella fase di programmazione, a livello territoriale, relativa anche al sistema integrato di interventi e servizi socio-assistenziali nonché di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale e individuare criteri e modalità per l'affidamento agli enti dei servizi d'interesse generale, improntati al rispetto di standard di qualità e impatto sociale del servizio, obiettività, trasparenza e semplificazione e nel rispetto della disciplina europea e nazionale in materia di affidamento dei servizi di interesse generale, nonché criteri e modalità per la verifica dei risultati in termini di qualità e di efficacia delle prestazioni”.
[xv] Art. 18 DLgs 112/2017 “1. Non concorrono alla formazione del reddito imponibile delle imprese sociali le somme destinate al versamento del contributo per l'attività ispettiva di cui all'articolo 15, nonché le somme destinate ad apposite riserve ai sensi dell'articolo 3, commi 1 e 2. L'utilizzazione delle riserve a copertura di perdite è consentita e non comporta la decadenza dal beneficio, sempre che non si dia luogo a distribuzione di utili fino a quando le riserve non siano state ricostituite”.
[xvi] Art. 83 DLgs 117/2017. “1. Dall'imposta lorda sul reddito delle persone fisiche si detrae un importo pari al 30 per cento degli oneri sostenuti dal contribuente per le erogazioni liberali in denaro o in natura a favore degli enti del Terzo settore non commerciali di cui all'articolo 79, comma 5, per un importo complessivo in ciascun periodo d'imposta non superiore a 30.000 euro. L'importo di cui al precedente periodo è elevato al 35 per cento degli oneri sostenuti dal contribuente, qualora l'erogazione liberale in denaro sia a favore di organizzazioni di volontariato. La detrazione è consentita, per le erogazioni liberali in denaro, a condizione che il versamento sia eseguito tramite banche o uffici postali ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del DLgs 241/1997.
2. Le liberalità in denaro o in natura erogate a favore degli enti del Terzo settore non commerciali di cui all'articolo 79, comma 5, da persone fisiche, enti e società sono deducibili dal reddito complessivo netto del soggetto erogatore nel limite del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato. Qualora la deduzione sia di ammontare superiore al reddito complessivo dichiarato, diminuito di tutte le deduzioni, l'eccedenza può essere computata in aumento dell'importo deducibile dal reddito complessivo dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quarto, fino a concorrenza del suo ammontare. Con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono individuate le tipologie dei beni in natura che danno diritto alla detrazione o alla deduzione d'imposta e sono stabiliti i criteri e le modalità di valorizzazione delle liberalità di cui ai commi 1 e 2.
4. Ferma restando la non cumulabilità delle agevolazioni di cui ai commi 1 e 2, i soggetti che effettuano erogazioni liberali ai sensi del presente articolo non possono cumulare la detraibilità e la deducibilità con altra agevolazione fiscale prevista a titolo di detrazione o di deduzione di imposta da altre disposizioni di legge a fronte delle medesime erogazioni.
6. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli enti del terzo settore di cui al comma 1 dell'articolo 82 a condizione che le liberalità ricevute siano utilizzate ai sensi dell'articolo 8, comma 1.
[xvii] Art. 82 del DLgs 117/2017 “Art. 82. Disposizioni in materia di imposte indirette e tributi locali
1. Le disposizioni del presente articolo si applicano agli enti del Terzo settore comprese le cooperative sociali ed escluse le imprese sociali costituite in forma di società, salvo quanto previsto ai commi 4 e 6.
10. Gli atti e i provvedimenti relativi agli enti di cui al comma 1 del presente articolo sono esenti dalle tasse sulle concessioni governative di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641.”
Arsea Comunica n. 90 del 01/12/2018
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