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Terzo settore: che forma prende la Riforma

Questo il titolo del seminario organizzato ieri dal Forum del Terzo Settore che ha visto come ospite di eccezione il Direttore Generale Terzo settore del Ministero del Lavoro, Alessandro Lombardi.

Sui tempi della Riforma Lombardi ha sottolineato che gli anni di lavoro sono stati dettati da un approccio metodologico all’insegna del confronto con le organizzazioni del Terzo settore e le Istituzioni locali, anche se non mancano le critiche e le sollecitazioni a cui il Ministero non ha dato ancora risposta.

Il lavoro in fondo non è terminato: dalla Legge delega del 2016 ai Decreti Legislativi dell’anno scorso, mancano i Decreti attuativi e correttivi attesi entro agosto di quest’anno, rispetto alla cui scadenza però ha mantenuto un approccio prudenziale, giustificato dall’aleatorietà dettata dalle imminenti elezioni politiche. Certo alcuni passi in avanti sono stati fatti: il Decreto sul Consiglio Nazionale del Terzo settore, fondamentale perché alcuni provvedimenti attuativi passano dal relativo “vaglio”, così come il Decreto sull’Organismo Nazionale di Controllo dei Centri servizi di volontariato, di cui si attende però la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, il Decreto attuativo sulla concessione dei contributi alle organizzazioni di volontariato per le ambulanze ed una serie di provvedimenti su cui stanno lavorando. Viene citato il gruppo di lavoro sulle Linee guida per il bilancio sociale e la misurazione di impatto, sotto l’egida del Professor Zamagni, il DM sul credito di imposta per le Fondazioni bancarie relativamente ai contributi per i Centri servizi volontariato, il lavoro sul fondamentale Decreto che dovrà definire criteri e limiti per lo svolgimento, da parte degli Enti del Terzo settore, di attività diverse da quelle di interesse generale (ex art.6 DLgs 117/2017) ed il Decreto che deve disciplinare le erogazioni in natura. Lombardi ha inoltre sottolineato il rapporto con le Amministrazioni regionali, il confronto sul tema del regime transitorio (poi definito nella circolare del 29 dicembre scorso) nonché la riflessione congiunta sulla gestione del Registro unico del Terzo settore e sull’avvio di politiche di sostegno agli Enti del Terzo settore attraverso l’erogazione di importanti risorse finanziarie.

Molteplici gli spunti di riflessione emersi anche dagli altri relatori.

Sul tema dei rapporti tra Pubbliche Amministrazioni ed Enti del Terzo settore sono intervenuti sia Alberto Bellelli, ANCI ER, che Miriam Ducci, Presidente Anpas regionale, per sottolineare la necessità di chiarezza e di linee guida operative.

Se il Codice del Terzo settore afferma il dovere di coinvolgere gli Enti del Terzo settore nella co-programmazione e co-progettazione degli interventi, le Amministrazioni devono disporre degli strumenti per poter chiaramente distinguere ciò che è soggetto alle regole degli appalti ed ai controlli dell’ANAC, rispetto alla possibilità di addivenire a convenzioni, non potendo certo individuare il discrimine nella circostanza che le convenzioni risultino semplicemente “più favorevoli rispetto al ricorso al mercato”. Al contempo è necessario comprendere se sia corretto affermare, come stanno facendo alcune Amministrazioni, che solo “I servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza possono essere, in via prioritaria, oggetto di affidamento in convenzione alle organizzazioni di volontariato”, ritenendo che gli altri servizi di trasporto sanitario debbano sempre, necessariamente, andare ad appalto.

La necessità di chiarezza d’altro canto non è stata manifestata solo dagli Enti del Terzo settore ma anche dalle Amministrazioni locali che si trovano a dover applicare nuove normative, dal Codice degli appalti alla Riforma del terzo settore, senza avere i tempi e gli strumenti per poter operare con serenità.

Un altro tema scottante affrontato è stato quello del rapporto tra volontari e lavoratori, sia in ambito associativo che nelle imprese sociali.

Sul tema è intervenuto Mauro Rozzi, presidente UISP Emilia Romagna, per sottolineare come molte associazioni di base non potranno conservare o acquisire lo status di associazione di promozione sociale in quanto non potranno dimostrare che le risorse umane retribuite siano inferiori al 5% del totale dei soci, considerato che le associazioni ricorrono facilmente a tante piccole collaborazioni occasionali, non disponendo delle risorse per ipotizzare assunzioni. E’ un problema che riguarda tutte le piccole realtà associative con finalità mutualistiche, dove l’apporto dei volontari è qualificante ma non determinante numericamente, e dove una loro ipotetica trasformazione in imprese sociali non è pensabile, essendo prive del necessario patrimonio per sostenere i conseguenti maggiori oneri gestionali.

Marina Balestrieri della CGIL regionale solleva invece il tema del rapporto lavoratori/volontari nella disciplina dell’impresa sociale, evidenziando le differenze rispetto alla normativa sulle cooperative sociali.

Se infatti nelle cooperative sociali il numero dei volontari non può superare la metà del numero complessivo dei soci (art.2 della L.381/1991) e soprattutto nella gestione dei servizi socio – sanitari ed educativi il ruolo dei volontari deve essere complementare, e non sostituivo, rispetto ai parametri di impiego di operatori professionali, nell’impresa sociale il numero dei volontari impiegati nell'attività d'impresa non può essere superiore a quello dei lavoratori (art.13 Dlgs 112/2017). Il Decreto sull'impresa sociale porta quindi quel rapporto a “uno a uno” e, soprattutto, non interviene rispetto al ruolo dei volontari nella erogazione dei servizi.

Ebbene queste disposizioni potrebbero determinare un forte rischio di dumping, in un momento storico in cui si cerca invece di fare pulizia rispetto alle c.d. false cooperative.


Arsea Comunica n.16 del 21/02/2018  


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