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Riforma del Terzo settore: alcune riflessioni a margine di un provvedimento non ancora in Gazzetta Ufficiale.

All’Assemblea Nazionale del Forum Nazionale del Terzo Settore del 27 giugno scorso sono intervenuti il Ministro Poletti ed i sottosegretari Bobba e Baretta, unitamente ai parlamentari Lenzi e Beni, relatori di due delle Commissioni coinvolte nella valutazione degli schemi di decreti legislativi attuativi della riforma.

Poletti, di fronte alla richiesta di aggiornamenti rispetto all'iter di approvazione dei Decreti attuativi della riforma, ha evidenziato che “la discussione è ancora in piedi, cercheremo di utilizzare al massimo livello le indicazioni offerte dalle Commissioni parlamentari” le quali hanno operato anche alla luce delle segnalazioni e delle proposte di emendamenti presentate dal Forum (qui è consultabile il testo del 7/6/2017). “Questo non significa che riusciremo a garantirlo al 100%”.  

Facciamo il punto.

Le seguenti note sono formulate alla luce dello schema di decreto legislativo recante il Codice del Terzo settore: il testo è stato parzialmente modificato ma attendiamo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per analizzarne compiutamente i contenuti.

Ci aspettavamo chiarezza e non la troviamo. Chiedevamo una proroga per arrivare a più miti consigli, ma non è arrivata. Possiamo solo sperare che sia rispettato l’impegno del Governo di implementare gli emendamenti proposti dalle Commissioni parlamentari (qui sono pubblicati i pareri del 22/06/2017), unitamente ai rilievi del Consiglio di Stato (parere del 14 giugno 2017, n. 1405).

A seguito dell’entrata in vigore saranno in ogni caso possibili degli aggiustamenti: la stessa Legge delega prevede l’istituzione di una Cabina di regia per supervisionare gli effetti di questa normativa e apportare i necessari correttivi.

 

Procedendo per punti.

1. Il Codice fa una ricognizione delle disposizioni civilistiche applicabili o non applicabili ai soggetti del Terzo Settore?

La risposta è no. In diversi articoli rinvia a tali disposizioni, in quanto compatibili e quindi adottando una formulazione che potrebbe ingenerare dubbi interpretativi.

 

2. Il Codice garantisce uniformità di disciplina?

Ni. Di certo va a creare binari paralleli tra associazioni iscritte e associazioni non iscritte nel Registro. Ad esempio se sono una associazione iscritta nel Registro degli Enti del Terzo settore e voglio ottenere la personalità giuridica (ciò che mi garantisce la responsabilità limitata) mi chiedono 15.000 euro (considerato l’obbligo di deposito del bilancio, per quale motivo il plafond deve essere superiore a quello richiesto ad una srl?) ma se non sono iscritta nel Registro continuo ad essere soggetta alla scelta discrezionale della mia Regione (liquidità minima di 10.000, 25.000 euro ma anche di più). Di fatto non è stata esercitata la delega rispetto alla modifica delle disposizioni – ormai vetuste – del codice civile.

 

3. Il Codice promuove il Terzo settore semplificandone gli adempimenti?

Pare proprio di no.

Sotto il profilo degli adempimenti contabili sono contemplate due disposizioni non coordinate tra loro. Da una parte l’articolo 13 impone l’adozione di conto economico e stato patrimoniale, esonerando però le organizzazioni con ricavi – di ogni natura – inferiori a 220.000 euro.

Dall’altra l’articolo 87 impone la tenuta delle scritture tipiche della contabilità ordinaria compreso il libro giornale, quindi conto economico e stato patrimoniale, esonerando esclusivamente le associazioni di promozione sociale e le organizzazioni di volontariato che avendo ricavi commerciali inferiori a 130.000 euro possono optare per il regime forfetario di cui all’art.86.

Si auspica che il Ministero del Lavoro nell’adottare la modulistica per i bilanci chiarisca questo aspetto problematico segnalato anche dalle Commissioni Finanze e Affari sociali della Camera.

Se poi l’ente supera determinati plafond (parliamo dei plafond indicati all’articolo 30 che nulla hanno a che vedere con quelli previsti per le srl), è obbligato a nominare un organo di controllo, anche monocratico ma in ogni caso da retribuire. Sul tema la Commissione Affari sociali chiede che almeno il plafond al di sopra del quale si configuri l’obbligo sia parificato a quello previsto per la nomina dei revisori legale dei conti “onde non penalizzare gli enti del Terzo settore rispetto alle società profit”.

A questo si aggiunge che il bilancio – in qualsiasi forma redatto – deve essere depositato. Se si tratta di impresa, in Camera di commercio. Se si tratta di ente diverso, nel Registro unico nazionale del Terzo settore. E qui la lettura dell’articolo 48 diventa interessante: “i rendiconti e i bilanci (..), i rendiconti delle raccolte fondi svolte nell’esercizio precedente e il rendiconto relativo ai contributi pubblici percepiti devono essere depositati entro 30 giorni, rispettivamente dalla loro approvazione o dal termine del periodo di riferimento del rendiconto stesso (…). Il mancato deposito degli atti e dei loro aggiornamenti nonché di quelli relativi alle informazioni obbligatorie di cui al presente articolo nel termine di 180 giorni è causa di cancellazione dal Registro”.

Conseguenza della cancellazione è la devoluzione del patrimonio, quanto meno con riferimento all’incremento patrimoniale realizzato negli esercizi in cui l’ente risultava iscritto nel Registro.

Appare evidente che tali adempimenti, accompagnati a questa tempistica, non potranno che rappresentare un ostacolo per le miriadi di associazioni che vivono grazie alla disponibilità dei volontari, notoriamente più propensi ad impegnarsi sulle attività piuttosto che sugli adempimenti burocratici.

Meglio sarebbe prevedere sanzioni in capo ai responsabili delle omissioni così come la non opponibilità ai terzi dei fatti per i quali è previsto il deposito nel Registro, ipotizzando eventualmente la cancellazione dal Registro esclusivamente nel caso residuale di reiterazione delle violazioni. In tal senso si sono espressi sia il Consiglio di Stato che le Commissioni parlamentati.

 

4. Il Codice del Terzo settore riconosce effettivamente l’associazionismo di promozione sociale?

Ni. Sulla carta viene previsto e di fatto è stato reintrodotto (così non era nelle prime versioni del Decreto Legislativo) il trattamento fiscale attualmente vigente, seppur con qualche piccola, ma importante, variante. Il problema è che il Decreto va di fatto a compromettere la differenza tra volontariato e promozione sociale rispetto al tema delle risorse umane retribuite.

Se oggi in una APS è necessario che le attività siano svolte prevalentemente con l’apporto gratuito dei soci, domani sarà necessario che le risorse umane retribuite siano in ogni caso inferiori al 5% dei soci e questo a prescindere dall’entità dei compensi. Le associazioni di base, che magari ricorrono a piccoli contratti di collaborazione, si troveranno nella condizione di non poterle più attivare o di dover rinunciare alla qualifica di associazione di promozione sociale.

Tale scelta appare non cogliere il ruolo dell’associazionismo nell’incubazione di impresa sociale: le persone si sperimentano attorno ad una progettualità che solo quando cresce può giustificare l’acquisizione della veste più strutturata di impresa sociale, con tutti gli oneri che essa comporta.

È evidente che l’introduzione di questo vincolo renderà più impervia la creazione di nuovi incubatori sociali, atteso che l’associazione culturale non iscritta nel Registro delle associazioni di promozione sociale dovrà qualificare come commerciali i corrispettivi specifici versati dai soci (salvo che si tratti di servizi per i quali il sodalizio riceve apporti economici da parte delle amministrazioni pubbliche e gli utenti – soci o non soci - versino un corrispettivo tale da coprire una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto degli apporti economici delle predette amministrazioni, ex art.79 comma 3 lett. c).

Del pari la norma introdotta appare non cogliere il ruolo di ammortizzatore sociale spesso assunto dalle associazioni con riferimento a fasce deboli che non riescono a trovare il corretto inserimento neppure nei laboratori protetti delle cooperative sociali.

 

5. Il Codice del Terzo settore promuove l’associazionismo attraverso una normativa fiscale chiara?

No. In primo luogo prevede che si applichino le disposizioni del Testo Unico delle imposte sui redditi “in quanto compatibili”, con ciò ingenerando sempre dubbi interpretativi. Anche in questo caso si attendeva un lavoro di ricognizione delle norme. Un tentativo parziale viene fatto nei pareri delle Commissioni parlamentari ma sarebbe opportuna una ricognizione generale delle norme.

In secondo luogo, rispetto all’impianto attuale, subordina le agevolazioni fiscali sugli introiti percepiti nell’ambito di servizi convenzionati/finanziati dalla Pubblica Amministrazione (art.79) alla circostanza che i corrispettivi degli utenti siano – a seconda della tipologia di attività – non eccedenti la metà del valore totale della prestazione ovvero che coprano una frazione (?) del costo effettivo del servizio. La proposta della Commissione Finanze e della Commissione Affari Sociali se non altro è in un’ottica di semplificazione.

Questa disposizione avrebbe dovuto rispondere all’obiettivo di effettuare la “revisione della disciplina riguardante le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, in particolare prevedendo una migliore definizione delle attività istituzionali e di quelle connesse, fermo restando il vincolo di non prevalenza delle attività connesse e il divieto di distribuzione, anche indiretta, degli utili o degli avanzi di gestione” contemplato dall’articolo 9 della Legge 106/2016. Nel Codice fanno scomparire invece la disciplina delle ONLUS per estendere alla generalità degli Enti del Terzo settore solo alcune delle agevolazioni attualmente contemplate. Tra le agevolazioni che scompaiono quella relativa all’IRAP che oggi di fatto colpisce proprio il Terzo settore, non essendo esteso il c.d. cuneo fiscale sui collaboratori subordinati impegnati nelle attività istituzionali degli enti.

Viene poi prevista la modifica dell’articolo 148, comma 3, del TUIR, ossia la disposizione che prevede la decommercializzazione dei corrispettivi specifici versati dai soci per partecipare alle attività istituzionali organizzate dalle associazioni “politiche, sindacali e di categorie, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona”, prevedendo che tale agevolazione si applichi esclusivamente alle “associazione politiche, sindacali, di categorie e sportive dilettantistiche”, oltre che alle “associazioni di promozione sociale” in quanto iscritte nel relativo Registro.

Questo significa che – a titolo esemplificativo – l’associazione culturale per mantenere il regime di decommercializzazione sopra citato dovrà verificare se potersi qualificare come associazione di promozione sociale – rispettando il tetto delle collaborazioni retribuite – ovvero acquisire la veste di impresa sociale, con gli inevitabili maggiori oneri gestionali ed un regime di agevolazioni fiscali subordinato all’assenso dell’Unione europea.

 

6. Le disposizioni contenute nel Codice passerebbero tutte il vaglio della Corte Costituzionale?

Tre Regioni hanno già impugnato il Decreto Legislativo sulla riforma del servizio civile: si tratta di Veneto, Lombardia e Liguria.

La Conferenza delle Regioni e Province autonome ha espresso parere negativo al testo del Codice per il voto contrario del Veneto: si annunciano quindi ricorsi anche su quel fronte.

Il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sul Codice, ha sottolineato i seguenti aspetti:

1) non si può limitare l’applicazione del Codice degli Enti del Terzo settore alle sole confessioni religiose che abbiano stipulato patti, accordi o intese con lo Stato;

2) l’elenco delle attività di interesse generale che garantiscono il riconoscimento come Ente del Terzo settore (art.5) così come l’elenco delle attività diverse realizzabili (art.6) non può essere demandato ad un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o ad un Decreto ministeriale: si tratta di un campo di competenza esclusiva delle leggi o degli atti aventi forza di legge mentre i decreti si configurano come fonti subprimarie.

 

7. Le disposizioni garantiscono uniformità sul territorio nazionale?

Il dubbio è lecito. Oggi i registri delle associazioni sono disciplinati dalla legislazione regionale che ha prodotto una assoluta non omogeneità di trattamento, con ripercussioni anche sotto il profilo fiscale.

Due associazioni esattamente identiche potrebbero essere accolte, o meno, nel registro delle associazioni di volontariato (per esempio perché costituite in forma di fondazione) o nel registro delle associazioni di promozione sociale (per esempio perché hanno tra i soci soggetti con scopo di lucro), nonostante l’ordinamento civile ed il sistema tributario (art.117, comma 2, Costituzione) siano materie rientranti nella potestà legislativa esclusiva dello Stato.

Tutto questo si auspica che non succeda più ma il potere regolamentare resta in capo alle Regioni. Diventa pertanto essenziale specificare meglio le regole di istituzione del registro e le competenze delle diverse strutture anche sotto il profilo dei controlli e dell’irrogazione delle sanzioni (artt.90 e seguenti).

Arsea comunica n.49 del 03/07/2017

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